Gianni Mandolesi Racconti e storie di un personaggio riminese

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Gianni come Giano, dietro di sé la verità, davanti la bugia

 

Non ricordo che anno fosse quel certo giorno di giugno, quando incontrai casualmente Gianni, al Ristorante Belvedere sul molo di Rimini.
A quel tempo il gestore era Sergio Fiori.
Io ero lì per recuperare la mia canna da pesca che un barchetto aveva trascinato in acqua all’alba qualche tempo prima, Gianni, invece, per incontrare gli amici che quel giorno non si fecero vivi. Pranzammo insieme e dato che in quei giorni accadde un'aggressività a carico dell’ebraismo ampiamente discussa su tutta la stampa, gli chiesi cosa ne pensasse. Gianni mi guardò dritto negli occhi e mi disse:

“Vedi Carlino, io sono di pura razza ebrea e ti dico che Hitler fece bene a fare quello che ha fatto! – proseguì – Quelli erano tutti zingari e bastardi, incrociatisi fra loro come cani”.

Disorientato, balbettai qualche parola, ma lui incalzò:

 “Mio padre era un Mandolesi e mia madre pure; non si sono accoppiati come quelle bestie! Il matrimonio dev’essere fatto solo fra consanguinei!”.

Ieri ho incontrato il fratello Tino e ho chiesto ragione di questa balla colossale. Mi ha riferito che Gianni raccontava che i Mandolesi provenivano dal patronimico Mandolla da Iesi, suonatori di mandolino.

c.f.