Gianni Mandolesi Racconti e storie di un personaggio riminese

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In occasione di una cena della Fondazione Gianni Mandolesi qualcuno ha ricordato una gita presso le Cantine di Tommaso Vallunga nell'imolese.
Credo fosse una domenica del 1973, quando a causa dell’austerity fu imposto dal governo italiano un risparmio obbligatorio dell'energia, ma gli automezzi turistici potevano viaggiare.
Così noleggiamo un pullman con autista rigorosamente di sinistra mentre il gruppo di una trentina e più di giovinastri, appartenente ad entrambi i sessi era di destra e chi non lo era taceva.
Fra lazzi e canti nostalgici ci avviammo alle cantine di Tommaso con sommo dispetto del conducente che digrignava i denti, ma non fiatava.
Gianni all’andata ci intrattenne leggendo poesie di Giustiniano Villa ed io non trovai di meglio che porgli un gatto sulla testa, per riparare ad un torto subito in un altro incontro godereccio.
Il gattino spaventato s’avvinghiò con le unghie ai capelli del malcapitato, per poi scendere lungo il maglione di cachemire di Gianni, sfilacciandolo.
Gianni s’arrabbiò moltissimo ma si trattenne ricordando ch’era in debito di un feroce scherzo.
Fra i tanti convenuti al fastoso banchetto, allestito per l’occasione, c’era anche Cece (Ezio Botteghi). Mangiammo a crepapelle e bevemmo vino a fiumi. Ricordo che dopocena lo zio di Tommaso accese una fogheraccia sull’aia e noi, tutti molto avvinazzati, sia con l’aiuto di una pertica, sia di un carretto saltavamo fra le braci ardenti.
Quella sera volli esibirmi e mettermi in mostra, così spinsi lo zio di Tommaso fra le fiamme: lui cadde come sacco di farina cade e fu salvato dalle lingue di fuoco da alcuni amici prontamente intervenuti. Fortunatamente anche lo zio era in gazzoia (su di giri) e, dato ch’era marzo, il grosso gabanone (giaccone) che portava lo protesse e non si scottò neppure un dito.
Poi, ad un tratto, vidi Cece, salito sulla scaletta che portava al portapacchi del pullman, se ne stava là in cima ad osservare la scena.
In fila indiana col pullman c’erano tre o quattro macchine e per me fu più facile farlo che pensarlo, così presi la ricorsa e zompando sul tettuccio delle autovetture raggiunsi Cece al culmine del pullman.
Le macchine s’erano un poco ammaccate (a quel tempo pesavo non più di 62 chili) ma l’effetto scenico fu grande!
Continuammo a bere sull’aia e lentamente ci abbioccammo.
Solo a tardissima ora della notte riprendemmo il viaggio di ritorno.
Saliti alla spicciolata sul pullman, Gino Brocchi, ch’era il più sobrio, fece la conta più volte ma all’appello ne mancava sempre uno.
Ciucchi come eravamo, non ci veniva nemmeno in mente chi fosse ma sapevamo che ne mancava uno. Poi qualcuno disse: “ Manca Cece!”.
Allora tutti a cercarlo e passò una buona mezzora prima che lo trovassimo placidamente addormentato dentro un grosso tino vuoto.
Questa volta durante il viaggio di ritorno, l'autista, bevuto più che mai, partecipò ai canti e dimenticò, almeno per quella notte, d’essere un fervente comunista ed antifascista.
Cece, continuò a dormirsela per tutto il viaggio di ritorno ma una volta giunto nei pressi di casa fu difficile fargli capire dove fossimo e che la festa era finita!

 c.f.