Gianni Mandolesi Racconti e storie di un personaggio riminese

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 << Gianni, la moto e i lenoni

Paolo Racconta:

<<Sono quasi le quattro di notte, gli amici via via se ne vanno, mentre mi attardo ancora in conversazione con pochi altri, seduto ai tavolini della Taverna, sulla passeggiata.
A quell’ora non passa più nessuno e attorno a noi è tutto silenzio.
A un tratto sento un flebile lamento proveniente alle mie spalle, sulla strada.
Al momento non porgo molta attenzione pensando al solito ubriaco di turno.
Ma poi il lamento si fa più vigoroso e continuo, mi alzo, vado in strada e poco più avanti vedo Gianni con la moto sopra di lui.
Do' voce ai due amici che erano rimasti con me, solleviamo la pesante moto e lo liberiamo.
Mentre dolente si rialza, gli chiedo sorridendo se ha bevuto e se si sente bene; di rimando Gianni non ingoia il rospo e rimontando in sella mi apostrofa: “Vai via brutto stronzo” mette in moto e velocemente si dilegua.>>

<<Ricordo che era l’11 dicembre, il giorno del mio compleanno.
Ero alle prime armi della professione forense, mi telefonano dalla questura dicendomi che hanno fermato due donne che hanno richiesto la mia assistenza.
Giungo sul posto, apprendo i fatti e deduco che di lì a poco saranno rilasciate, poiché si tratta di un semplice controllo di routine sulla prostituzione.
In ansia per la sorte delle mondane ci sono i due lenoni che attendono e saputa la notizia positiva m’invitano, con insistenza, a bere qualcosa.
Accetto e ci rechiamo alla Taverna degli Artisti.
Uno dei due è un gigante biondo intabarrato, l’altro insignificante.
E’ tardissima sera e fa freddo, ci sediamo per una bicchierata veloce nella zona pizzeria.
All’improvviso, da dietro, Gianni mi spiccica letteralmente il cappello che ho in capo, esordendo: “Brutto avvocato sifilitico di merda!” Il gigante biondo sfodera un lunghissimo coltello dal tabarro e si appresta a sferrare un fendente a Gianni ma io fortunatamente riesco a trattenergli il braccio e dico che è un caro amico che sta solo scherzando; cala la tensione e il coltello torna al suo posto sotto il tabarro.
Brindiamo velocemente insieme e poi via, ognuno per la sua strada.
Tornando a casa ho pensato che con il mio intervento in questura mi ero conquistato la riconoscenza di quel tizio, pronto ad accoltellare in mia difesa. Un brivido non di freddo mi attraversò la schiena.>>

 c.f.