Gianni Mandolesi Racconti e storie di un personaggio riminese

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I Fratelli Tomesani, in Arte Motociclisti Acrobati

In alto da sinistra a destra e a seguire:

Giulietto Turchini (Spranghina), Tino Mandolesi, Marco Nori, Elio Di Rosa, Tommaso Di Flumeri, Giuseppe Anelli (Geppe), Renato Pelliconi, Luciano Pari (Cianino), Gianni Mandolesi (Vinu'), Ferdinando Fiori (Nadi), Gilberto Feligioni.

Alla fine degli anni ’60, la rivista Oggi pubblicò un servizio intitolato: “I Motofracassoni” corredato di foto e giudizi non troppo lusinghieri su quegli sciagurati, teorizzando che stare a cavallo della moto era come provare un amplesso.
A quel tempo, i nostri solevano, a ore impensate del giorno e della notte, mandare a folle velocità i loro trabiccoli lungo il percorso porto canale – piazzale Kennedy, facendo a gara come fossero all’autodromo di Imola.
A tutta pagina spiccava una foto in primo piano di Renato a cavallo del suo velocifero.

Più tardi negli anni, gli amici si dotarono di nuove e più brillanti moto, abbandonando quelle vecchie e rumorose ferraglie.
Non paghi, a seguito dell’insistenza di Nadi, si autoproclamarono “I FRATELLI TOMESANI”, qui ritratti in calzamaglia con il simbolo dei “buffs” sul petto.
Essi si esibirono più volte per il puro divertimento degli spettatori, partendo dalla Taverna degli Artisti; c’era chi alzava le gambe ai lati (Gianni), chi più ardimentosamente (Geppe) saliva in piedi sul sellino stendendo le braccia, come nell’attesa di un applauso, che puntualmente avveniva scrosciante, fra i lazzi e i frizzi di quel pubblico ammiccante ma non pagante!

Insomma, la moto fu il collante che unì per sempre il gruppo interprete di molte avventure.

Quando i nostri passarono dalle vecchie moto alle nuove, qualche buontempone, rimasto anonimo, fece smontare da un meccanico una vecchia Guzzi, custodita assieme alle altre in un garage di via Trieste, e la inviò a pezzi al Palace Hotel, presso cui erano impiegati diversi di noi.
Ricordo che per tre giorni consecutivi vidi arrivare un voluminoso pacco postale, una volta contenente le ruote e il motore, una volta il manubrio e il serbatoio ed infine ciò che rimaneva dell’intelaiatura.
Un bellissimo scherzo di cui s'è persa memoria. 
Forse si trattava della moto che avevano in comune Gianni, Nadi e Renato.

Tuttavia, ancor oggi, nessuno ricorda, nessuno ne ha sentito parlare, nessuno ha visto; come le tre scimmiette!

c.f.